Ciao Elisabetta,

Sono trascorsi sette anni dalle ultime foreste fluviali, dall’ atelier di Picasso, dalla scala allagata di Victor Hugò, dal Vittoriale di Dannunzio, dai loro ritratti liquidi, caratterizzate ancora dall’ assoluto monocromo blu verde o magenta. Da allora qualcosa si è trasformato non fosse altro, per il fatto, che è passato del tempo e parallelamente ho avuto altri pensieri altre soluzioni. Tutto ciò è venuto fuori per gradi.

Un primo fattore incidente è stata la necessità di cambiare tavolozza, almeno così si diceva una volta per la pittura. E così paradossalmente alla fine del 2007 è venuta fuori un’istallazione “interno” presentata alla mostra “Cervelli in acqua” e poi un’anno dopo un video “scattering” presentato poi al Premio Michetti.

In questi lavori lo spazio-studio era tridimensionale, ma aveva comunque un’angolazione e un’atmosfera che venivano fuori dalla pittura e ritornavano alla pittura.
Penso lo spazio-studio come un luogo Storico e complesso, in esso avviene metaforicamente l’estensione stessa dell’artista, della sua attività. Ad un livello psicologico è luogo della concentrazione errante è spazio dove ci si mette in moto, dove si va oltre.
Nelle mie ultime opere il soggetto continua ad essere tratto vagamente da delle foto di “archivio”, ma la maggior parte del lavoro avviene attraverso una sedimentazione.
Il colore tende a manifestare la sua presenza materiale nello spessore, allo stesso tempo è traccia del gesto, e ancora, è ciò che diventa plausibile per un avvenimento perturbante all’interno del quadro. Lo penso come qualcosa di reale…..

Francesco

Roma, 11 gennaio 2014